Giftedness 101, di Linda Silverman

Oggi vi proponiamo l’articolo: Giftedness 101 (di Linda Silverman)

Agli inizi del 2013 uscì il libro della Dott.ssa Linda Silverman intitolato “Giftedness 101”. In un articolo omonimo che prende spunto dal libro stesso, la dottoressa riassume la sua idea di giftedness come realtà psicologica con ramificazioni molto potenti che attraversano tutte le fasi della vita, e fa una panoramica su quale concetto di giftedness sia diffuso nella società e sulle conseguenze che un’interpretazione sbagliata può avere sulla popolazione gifted.

Buona lettura!


 Giftedness 101

 Linda Kreger Silverman

Gifted Development Center

Traduzione di Francesca Godani

Si è gifted se nessuno lo vede? Alcuni direbbero di no, perché si è gifted soltanto quando si fa qualcosa che gli altri considerano eccezionale. Ma se si astrae la giftedness dall’idea della competizione per il conseguimento di un risultato tangibile, diventa chiaro come sia una forma di sviluppo atipico, che porta a esperienze uniche attraverso tutto il ciclo di vita.

Che cosa è esattamente la giftedness? L’argomento è circondato da controversie e credenze. Alcuni dei falsi concetti con i quali i gifted, i loro genitori e chi li supporta devono continuamente combattere sono:

  • Esiste veramente qualcosa come la giftedness?
  • Non siamo tutti gifted in qualche modo?
  • Un’etichetta del genere non rende un bambino (troppo) presuntuoso?
  • La giftedness è soltanto il risultato di una spinta da parte dei genitori ad una educazione avanzata in età precoce?
  • I programmi per bambini gifted sono elitari e non democratici?
  • I bambini intelligenti non possono cavarsela da soli?
  • Gli altri bambini non saranno in grado di raggiungerli ad un certo punto?
  • Può la giftedness venire meno, o essere causa di morte precoce?
  • Le capacità inusuali di certi individui sono di solito “compensate” da qualche forma di handicap?
  • C’è un collegamento tra giftedness e follia?
  • La giftedness è un concetto obsoleto?
  • Non dovremmo piuttosto parlare di talenti in domini diversi o intelligenze multiple o competenze sviluppate con anni di impegno e pratica?

Sono pochi gli argomenti in grado di generare reazioni così forti. Sebbene ci riesca facile riconoscere che alcuni individui siano meno intelligenti di noi, l’idea che altri siano più intelligenti è percepita come una minaccia emotiva da chi è insicuro (Persson, 2009). Tannenbaum (1983) ha svelato la storia delle persistenti correnti istigatrici di sospetto e negazionismo – di diffuso risentimento – verso chi è dotato di intelligenza superiore (p.3). I gifted si ritrovano soli in un mondo popolato di incomprensione.

Non è infrequente sentire educatori dire ai genitori con tono di supponenza “Noi pensiamo che tutti i nostri bambini siano gifted”. Mentre tutti i bambini sono un dono per il mondo, dire che “tutti i bambini sono gifted” svuota il termine di ogni significato ed è assurdo quanto asserire “Noi pensiamo che tutti i bambini siano intellettualmente disabili”. Gli individui con uno sviluppo intellettuale deficitario, la cui intelligenza si colloca 2, 3 o 4 deviazioni standard al di sotto della norma, affrontano specifiche difficoltà psicologiche. Lo stesso succede per chi è intellettualmente avanzato, con QI 2, 3, 4 o più deviazioni standard sopra la norma. Coloro che hanno un ragionamento astratto significativamente più sviluppato della media sperimentano la vita in maniera qualitativamente differente ed hanno necessità psicologiche qualitativamente differenti.

La giftedness è il potenziale per l’eccellenza?

C’è un “nuovo” movimento nell’ambito della formazione scolastica dei gifted che eguaglia la giftedness con il risultato riconosciuto. “Risultati eccezionali o eccellenza dovrebbero essere l’obiettivo principale della formazione scolastica dei gifted” (Subotnik, Olszewski-Kubilius, & Worrell, 2011, p.3). Una storia già sentita: Howard Gardner (1983) introdusse definizioni della giftedness orientate al raggiungimento del risultato. Nel 1992, David Feldman propose un “cambiamento di paradigma”, dove sostituiva il termine “gifted’ con “talented” e sollecitava l’abolizione dei test del QI. Sapete perché? Perché i test del QI non predicono la fama.

Definire la giftedness come eccellenza è l’eredità che abbiamo ricevuto da Sir Frances Galton che inaugurò gli studi sulla giftedness nel 1869 con la pubblicazione del suo libro Hereditary Genius. Galton classificò gli uomini a seconda del prestigio che avevano raggiunto come uomini di stato, comandanti, letterati, uomini di scienza, poeti, musicisti e pittori. Selezionò uomini ricordati dalla storia, dei quali erano disponibili biografie. Era sua intenzione dimostrare che la reputazione è un test accurato di elevate capacità e che capacità inusuali sono ereditarie (con particolare riguardo alla sua famiglia: era cugino di Charles Darwin). “Per reputazione intendo l’opinione dei contemporanei, riveduta dai posteri – il risultato favorevole di un’analisi critica della personalità di ciascun uomo, fatta da diversi biografi…” (Galton, 1869, p.33).

Secondo Galton, non è possibile stabilire l’impatto che una vita ha avuto fino a che l’individuo non è più in vita e altri scrivono di lui. Quindi, dovremmo aspettare che una persona muoia per stabilire se era gifted? La determinazione “postuma” della giftedness non è particolarmente utile per selezionare e aiutare i bambini gifted, o nutrire la loro crescita emotiva.

Interpretare la giftedness come sinonimo di “eccellenza” mina l’imparzialità del giudizio, introducendo pregiudizi di carattere sessista, culturale, socioeconomico e razziale, visto che le donne, le diverse nazionalità, le razze e i gruppi etnici, e i livelli socioeconomici non sono ugualmente rappresentati tra le eccellenze (Silverman, 2013). Non tutte le culture attribuiscono valore al riconoscimento individuale. L’eccellenza è un concetto competitivo, non un obiettivo universale.

Le idee di Galton furono messe in discussione, un secolo fa, da Leta Stetter Hollingworth, che sosteneva che l’eccellenza fosse principalmente il risultato di opportunità, fosse associata strettamente alla posizione sociale e in generale inaccessibile alle donne.

Se l’opportunità fosse in effetti il fattore determinante per l’eccellenza, ci aspetteremmo che gli appartenenti alle classi sociali inferiori ne rimanessero esclusi. E questo è ciò che accade, in quanto raramente abbiamo visto chi manca di cultura, i poveri, i servi e le donne raggiungere l’eccellenza. (Hollingworth, 1926, p.11)

Non è accettabile motivare la disparità fra i sessi nel conseguimento dell’eccellenza con oscure ed insuperabili differenze affettive ed intellettuali, se prima non abbiamo escluso come causa il fatto noto, evidente ed ineludibile che sono le donne ad allevare i bambini, e che a questo inevitabilmente fa seguito l’occuparsi della casa, un campo in cui l’eccellenza non è accessibile. (Hollingworth, 1914, p.529)

Come abbiamo fatto a tornare dove eravamo 100 anni fa? Può veramente la formazione scolastica dei gifted credere che la sfuggevole chimera dell’eccellenza sia un criterio di giftedness più giusto ed equo dei test del QI?

E in che modo questo gioverebbe ai bambini? Non ci sono bambini eminenti. Se si viene identificati come gifted da bambini e poi non si raggiunge l’eminenza vuol dire che in realtà non si era gifted? Questa disconnessione fra giftedness nei bambini e giftedness in età adulta è illogica e non si riscontra in nessun altro ramo delle eccezionalità.

Invece di chiedersi di cosa hanno bisogno i bambini che hanno uno sviluppo differente, si è posta l’enfasi sulla domanda: “Cosa ci vuole per avere successo?” Molti studiosi conosciuti predicano che tutti siamo dotati di intelligenza e quindi tutti abbiamo le stesse opportunità di successo (per es. Gladwell, 2008). In Scandinavia alcuni ricercatori sostengono che non ci siano differenze di abilità. Tutto si riduce alla pratica, pratica, pratica (Ericsson, 2006).

La dottrina per cui tutti abbiamo una uguale intelligenza risulta molto attraente in società aggressivamente egualitarie; ma rappresenta la verità? Siamo davvero tutti uguali? Negli ultimi 100 anni abbiamo appurato l’esistenza di differenze significative in intelligenza fra le persone. Al Gifted Development Center abbiamo trovato bambini capaci di ottenere punteggi del QI superiori a 260. Tutto questo non significherà nulla se questi bambini non diventeranno famosi?

E il “dono” implica un obbligo? Spesso gli argomenti a favore di misure scolastiche speciali per i gifted sono basati sul valore di questo gruppo per la società. La formazione scolastica dei gifted è presentata come un investimento in futuri leader. “Attualmente nel modo di concepire la giftedness e la formazione scolastica l’idea dominante è quella di un valore basato sull’utilità, mentre il valore intrinseco del dono rimane virtualmente inesistente” (Besjes-de Bock & de Ruyter, 2011, p.205). Dai gifted, considerati alla stregua di un servizio pubblico, ci si aspetta un ritorno sull’investimento della società che vada a vantaggio dell’ordine sociale. Si presta poca attenzione alla loro vita interiore; “le emozioni sono di scarsa importanza” (p.199). Mentre alcuni bambini gifted ambiscono ad ottenere ottimi voti e desiderano il riconoscimento del successo nella scuola cosí come nella vita adulta, altri “marciano al ritmo del loro tamburo personale”. Una madre scrisse:

Fra noi diciamo che lei non segue il ritmo di un altro tamburo – lei ha una banda tutta sua.

La psicologia della giftedness

Io considero la giftedness un fatto psicologico. Può essere osservata in bambini molto piccoli e documentata con misure di intelligenza generale. La capacità di pensiero astratto, l’introspezione, la compassione, la sensibilità, il perfezionismo, l’intensità, l’immaginazione creativa, un sofisticato senso dell’umorismo ed un’inusuale energia caratterizzano l’individuo gifted attraverso tutta la sua vita e creano delle esperienze di vita fuori dal comune. Queste caratteristiche permanenti segnano i gifted come esclusi dalla società, e li rendono vulnerabili.

La giftedness non fa differenza di colore, si ritrova in proporzioni uguali in maschi e femmine, è presente in tutte le culture, ed è distribuita in tutti i livelli socioeconomici. Al mondo sono molti di più i bambini gifted che vivono in povertà di quelli ricchi (Zigler & Farber, 1985).

Giftedness significa avere bisogni molto diversi dalla norma; affinché si abbia uno sviluppo armonico, la giftedness deve essere individuata, gestita ed accomodata in età precoce. Al contrario di quanto si pensa comunemente, i gifted non ce la fanno da soli. Molti si nascondono e si rassegnano alla mediocrità. Qualcuno si toglie la vita. E alcuni di questi “papaveri piú alti” vengono tagliati e ridotti all’altezza di tutti gli altri, pur di preservare questa finzione secondo la quale saremmo tutti uguali.

Giftedness 101 è il tentativo di riportare la giftedness ad essere una branca legittima della psicologia. Mentre tutti gli altri campi delle eccezionalità sono stati accolti dalla psicologia, questi bambini sono stati abbandonati. La formazione scolastica dei gifted non tiene conto della loro vita interiore. È normalmente focalizzata sul successo che questi studenti hanno a scuola. L’unico ruolo della psicologia è la motivazione.

Quando il mio libro Giftedness 101 fu presentato alla United States Library of Congress per essere catalogato, fu classificato come “Bambini gifted” e “Bambini gifted – formazione scolastica”. Che cosa succede ai bambini gifted quando non sono più bambini o quando non vanno più a scuola? Non esiste la categoria “psicologia della giftedness”. I gifted non sono rappresentati in una sezione della American Psychological Association, o nelle associazioni di psicologia di altri Paesi. Sono semplicemente dimenticati.

All’interno della psicologia, c’è sempre stato un interesse per chi è fuori dalla norma; queste persone ci mostrano la gamma delle abilità e fanno luce sulle possibilità dello sviluppo umano. Agli albori della psicologia, la giftedness era parte integrante della famiglia delle questioni da indagare. Alfred Binet, Lewis Terman, Leta Hollingworth, Peter Stern, e molti altri psicologi che studiavano le differenze individuali, erano curiosi circa entrambi gli estremi dello spettro dell’intelligenza. La psicologia della giftedness è scaturita da questa curiosità intellettuale.

Nessuno mette in dubbio l’esistenza di individui disabili intellettualmente. Gli psicologi si sono spesi molto nell’identificazione di questo gruppo e insegnanti specializzati sono stati formati per fornire servizi educativi appropriati. Perché invece chi ha un intelletto superiore viene deriso e trattato con negligenza? Perché si permette che tutto questo accada? È venuto il momento di porgere la mano ad un gruppo trascurato che ha bisogno della nostra comprensione e del nostro supporto.

Riferimenti bibliografici

Besjes-de Bock, K. M., & de Ruyter, D. J. (2011). Five values of giftedness. Roeper Review, 33, 198-207.

Ericsson, K. A. (2006). The influence of experience and deliberate practice on the development of superior expert performance. In K. A. Ericsson, N. Charness, P. Feltovich, and R. R. Hoffman, R. R. (Eds.). Cambridge handbook of expertise and expert performance (pp. 685-706). Cambridge, UK: Cambridge University Press.

Feldman, D. H.  (1992).  Has there been a paradigm shift in gifted education?  In N. Colangelo, S. G. Assouline, & D. L. Ambroso (Eds.), Talent development:  Proceedings from the 1991 Henry B. and Jocelyn Wallace National Research Symposium on Talent Development (pp. 89-94). Unionville, NY:  Trillium.

Galton, F.  (1869/1870).  Hereditary genius:  An inquiry into its laws and consequences.  London. (New York:  Appleton).

Gardner, H.  (1983).  Frames of mind:  The theory of multiple intelligences.  New York:  Basic Books.

Gladwell, M. (2008).  Outliers: The story of success. New York: Little, Brown.

Hollingworth, L. S.  (1914).  Variability as related to sex differences in achievement:  A critique. American Journal of Sociology, 19, 510-530.

Hollingworth, L. S.  (1926).  Gifted children:  Their nature and nurture.  New York:  Macmillan.

Persson, R. S. (2009). The unwanted gifted and talented: A sociobiological perspective of the societal functions of giftedness. In L. V. Shavinina (Ed.). The international handbook of giftedness (Vol. 2, pp. 913-924). Amsterdam: Springer Science.

Silverman, L. K. (2013). Giftedness 101. New York: Springer.

Subotnik, R., F., Olszewski-Kubilius, P., & Worrell, F. C. (2011). Rethinking giftedness and gifted education: A proposed direction forward based on psychological science. Psychological Science in the Public Interest, 12(1), 3-54.

Tannenbaum, A. J. (1983). Gifted children: Psychological and educational perspectives. New York: Macmillan.

Zigler, E., & Farber, E. A.  (1985). Commonalities between the intellectual extremes:  Giftedness and mental retardation.  In F. D. Horowitz & M. O’Brien (Eds.), The gifted and talented: Developmental perspectives (pp. 387-408). Washington, DC:  American Psychological Association.


© 2021 Francesca Godani

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