La differenziazione per gli studenti gifted.

La differenziazione va a vantaggio degli studenti gifted?

James Delisle è un autore americano di cui consigliamo sempre la lettura. Insegnante di gifted per 40 anni, professore di special education alla Kent State University per 25, autore di più di 250 articoli e 21 libri, il cui lavoro è stato tradotto in numerose lingue ed è apparso su numerose riviste specializzate.1

Il modo in cui si rivolge ai suoi interlocutori è piacevolmente influenzato dal suo essere insegnante e allo stesso tempo padre di gifted: una combinazione di professionalità, che deriva dal suo lavoro, e comprensione, che nasce dalle sfide che ogni genitore di gifted si trova ad affrontare.

Una delle sezioni del suo libro “Understanding Your Gifted Child from the Inside Out” ha come titolo “The “Error” of Inclusion” (L’“errore” dell’inclusione). Qualche anno prima della pubblicazione del libro, l’articolo “Differentiation doesn’t work” (La differenziazione non funziona)2 era stato pubblicato su Education Week, forse la pubblicazione americana più autorevole sulle tendenze all’avanguardia nel campo dell’istruzione.1

La sezione, prendendo spunto dalla storia del sistema scolastico americano, esamina il concetto dell’inclusione e la pratica della differenziazione, entrambi usati nell’ambito della gifted education. Da questi lavori, vi vogliamo proporre il pensiero di Delisle sull’argomento.

Nelle scuole americane degli anni 80, una pratica comunemente usata dagli insegnanti era l’ability grouping (o tracking), cioè il raggruppamento degli studenti per abilità. Gli studenti che avevano la capacità di affrontare nozioni di matematica di uno, due o tre anni più avanti, così come gli studenti che avevano difficoltà di lettura che rendeva loro faticoso seguire la letteratura proposta in classe, venivano raggruppati con altri studenti che avevano livelli accademici simili. Sebbene non fosse la soluzione perfetta, l’ability grouping permetteva agli studenti di lavorare al loro livello e aiutava gli insegnanti, che si trovavano così a poter insegnare a gruppi con abilità omogenee.

Questa pratica finì presto perché tacciata di elitismo e discriminazione e il modello, che teneva conto di quanto uno studente fosse pronto ad imparare, venne dismesso. Fu questa una soluzione che andò a vantaggio degli studenti gifted? Vediamo.

Non potendo più suddividere gli studenti a seconda delle loro capacità, venne “creato” quel concetto che oggi chiamiamo “inclusione” a seguito del quale, ad esempio, nella stessa classe elementare si trovano gli studenti che hanno una comprensione linguistica a livello di scuola superiore e gli studenti che hanno difficoltà nella lettura, con al centro gli studenti con abilità allineate all’età anagrafica. In casi come questo il compito più difficile sta nelle mani dell’insegnante, che Delisle identifica in questa situazione come un “giocoliere”, in quanto si trova a doversi destreggiare per poter istruire alunni con grandi differenze di abilità e stili di apprendimento. La soluzione più naturale che l’insegnante si trova a mettere in pratica risulta essere “insegnare nel mezzo”.

Ovviamente questo non sembrava essere un modo efficace di soddisfare al meglio i bisogni degli studenti. Venne quindi proposta la “differenziazione” come pratica risolutiva, come “soluzione a tutti i mali” del sistema scolastico.

In che cosa consiste la differenziazione? L’idea alla base della differenziazione è quella per cui gli insegnanti valutano le particolari necessità di ciascuno studente all’interno della classe eterogenea e impartiscono l’istruzione in maniera tale che sia indirizzata a soddisfare la molteplicità di punti di forza e debolezza dei diversi studenti. In questo modo la programmazione pare andare incontro a tutti gli alunni offrendo il livello di istruzione corrispondente esattamente al reale livello accademico di ciascuno all’interno della classe. Delisle fa notare come la realtà dei fatti sia completamente diversa, facendo risultare la differenziazione un fallimento più che un successo pedagogico sia per gli alunni che per gli insegnanti.

Questa pratica viene proposta agli insegnanti come la soluzione in grado di soddisfare i bisogni di tutti gli studenti, indipendentemente dal loro livello accademico. Gli insegnanti forniscono materiale di arricchimento agli studenti più avanzati e materiale più semplice a coloro che fanno fatica a stare al passo con il curriculum. Data l’eterogeneità della classe, si possono creare gruppi di cooperative learning, dove alunni più capaci condividono attività con studenti meno capaci, contribuendo non solo all’apprendimento dei contenuti ma anche allo sviluppo di abilità sociali nel rispetto delle differenze individuali.

In teoria, la differenziazione sembra essere una pratica fantastica; quello che però Delisle ha potuto constatare, anche grazie al contributo di centinaia e centinaia di insegnanti che condividono il suo pensiero, è che questa pratica è di difficilissima implementazione nella classe eterogenea, cioè con studenti distribuiti tra i più disparati livelli di apprendimento. L’insegnante, anche il più esperto, sa che l’impresa di soddisfare ogni singolo studente è praticamente impossibile.2 Per questo motivo, la pratica pare nei fatti tradire la missione che la scuola dovrebbe avere, e cioè fare sì che ogni studente possa godere del diritto ad un’istruzione che gli consenta di sfruttare appieno le proprie potenzialità. Come si può pensare che un singolo insegnante possa attendere alle necessità di una classe con più di 30 alunni che presentano ogni possibile livello di forza e debolezza?1

L’errore dell’inclusione e la sua “soluzione a tutti i mali”, la differenziazione, hanno arrecato un danno enorme a quella che dovrebbe essere un’istruzione adeguata ai bambini gifted.1

Il modo in cui la differenziazione viene proposta oggi è definito da Delisle l’equivalente di un “disastro educativo” per gli studenti gifted.1 Numerosi studi degli ultimi venti anni riportano come la quasi totalità degli insegnanti ritenga la differenziazione nella classe regolare una pratica molto difficile da implementare, che complica il lavoro e che non rappresenta un metodo efficace per impegnare gli studenti più capaci ad un livello adeguato alle loro necessità. Gli insegnanti chiedono che si faccia affidamento al raggruppamento in classi omogenee per gli studenti più avanzati, facendo notare inoltre come quando gli alunni più capaci sono in gruppo con studenti meno capaci, sono sempre i più brillanti a portare avanti il lavoro, e l’unico risultato è quello di aver sacrificato l’apprendimento di tutti.

Non dimentichiamo che le ricerche condotte sui metodi scolastici di raggruppamento concludono che gli studenti gifted beneficiano meno del lavoro fatto in una classe di livello misto e traggono il massimo beneficio invece dall’apprendimento con altri studenti altrettanto avanzati.3 Gli studi ci dicono inoltre che gli studenti gifted, che sono inseriti in programmi per gifted, presentano una maggiore competenza sociale, relazioni sociali più mature, una precoce maturità psicologica e meno probabilità di sviluppare problemi psicologici rispetto ai non gifted.4

Delisle conclude dicendo: “La differenziazione potrebbe funzionare se fossimo disposti, come nazione, a tornare ai giorni in cui studenti con abilità simili erano raggruppati in classi con altri studenti le cui esigenze di apprendimento erano simili alle loro. Fino a quel momento, la differenziazione continuerà ad essere ciò che è diventata: una proposta fallimentare sia per gli studenti che per gli insegnanti; un’altra panacea che non ha funzionato”.

 


1Understanding Your Gifted Child from the Inside Out”, di James Delisle

2Differentiation doesn’t work”, di James Delisle

3The Relationship of Grouping Practices to the Education of the Gifted and Talented Learner: Research-based Decision Making”, di Karen Rogers

4Social Development in the Gifted”, di Linda Silverman


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