La mia terra immaginaria.
Parliamo con il bambino gifted e chiediamogli cosa prova.
Leta Hollingworth è senza dubbio la psicologa e educatrice che ha contribuito in maniera fondamentale all’inizio dello studio della psicologia della giftedness e della gifted education.
Vissuta tra la fine del 1800 e la prima metà del 1900, in un suo scritto del 1930 (Personality development of special class children) racconta di un bambino gifted di sei anni con QI di 187.
Oggi voglio condividere con voi l’osservazione che Leta Hollingworth fece di quel bambino.
Fa pressappoco così.
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Sebbene avesse un’”età mentale” di un bambino di dodici anni, con una capacità di lettura pari a quella degli alunni delle medie, con la conoscenza di tutti i fondamenti dell’aritmetica, incluso risolvere le radici quadrate e usare i numeri fino al miliardo, questo bambino di prima elementare era considerato troppo immaturo per riuscire a svolgere i compiti assegnati in classe, in quanto non seguiva le lezioni, “stava sempre nel suo mondo”, sdraiato a guardare il soffitto.1
Non potendo sopportare la semplicità del curriculum proposto in classe e non riuscendo ad articolare le motivazioni delle sue necessità, la sua soluzione fu quella di “abbandonare” la classe e l’insegnante.1
Quando gli fu chiesto cosa facesse quando stava sdraiato sul pavimento a guardare il soffitto, lui rispose: “Oh, mostly mathematical calculation, or my imaginary land” (Oh, per lo più penso a calcoli matematici, o alla mia terra immaginaria).1
Ho trovato la risposta di questo bambino estremamente affascinante e vi ho voluto raccontare questa storiella perché questo è senza dubbio ciò che i nostri bambini gifted si trovano ad affrontare tutti i giorni nelle classi.
Prima di considerare un bambino gifted immaturo, parliamo con lui e chiediamogli cosa prova, e soprattutto poniamoci la domanda se noi, dal di fuori, lo stiamo guardando nella maniera giusta e gli stiamo offrendo ciò di cui ha bisogno.
1 Social and emotional education of the gifted: The discoveries of Leta Hollingworth, di Linda Silverman
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